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IL MONDO IN UN PALLONE: EURO 2016

  • Leonida Baggins
  • 8 lug 2016
  • Tempo di lettura: 3 min

È tempo di svegliarsi!

Gli “europei” dei popoli sono finiti, restano solo quelli dei plutocrati.

Mai come ora, gli europei hanno rappresentato la realtà politica dell’intera Europa.

Infatti molte squadre sono state una rappresentazione diretta della situazione politico-sociale della propria nazione.

Partiamo proprio dall’Inghilterra: come squadra è sembrata subito una squadra dotata di potenza e unità, con tante idee, ma la maggior parte di esse erano però confuse.

Non vi ricorda la situazione politica attuale dell’Inghilterra? Uno Stato forte e unito, ma con una profonda crisi di idee, non solo in senso politico.

E se questo non bastasse, si ricordi che l’allenatore dell’Inghilterra era dimissionario e che, al fallimento della squadra, si è ritirato in buon ordine. Non vi ricorda niente?

E che dire dell’“Invencible Armada” spagnola: una squadra costruita sui brandelli, sui residui di una squadra che fu, un tempo, grande e che ora deve cedere al tempo che passa.

Non è, forse, anche così la Spagna? Una nazione legata a vetusti simboli, che hanno profondamente tremato quando è arrivata la crisi. Una nazione che avrebbe bisogno di svecchiare e di guardare al futuro.

Per non parlare dei loro vicini portoghesi e anche in questo caso “nazionale” e nazione si compenetrano in maniera simbiotica.

La nazionale portoghese è una squadra marginale, che punta tutto il suo successo sul suo simbolo più importante, il loro gallo da combattimento(Ronaldo), con alterne fortune e sempre cavandosela per il rotto della cuffia, pur sempre, però, con un forte impegno.

Il Portogallo come nazione non è dissimile: marginale, simbolista, con un’economia barcamenante, ma sempre in qualche modo al limite della decente sopravvivenza.

E a proposito di “armate Brancaleone”, parliamo un po’ della nostra.

Di quella Italietta così priva di talenti, che poteva realizzare davvero l’impresa, ma che come sempre è stata stroncata da decisioni ingiuste e parziali.

Come nella vita vera, anche nel calcio l’Italia non riesce più, non a sfornare talenti, ma a coltivarli e così è costretta ad affidarsi ai soliti noti; quello che cambia però è il leader, la guida.

Se i nostri politici si rivelano incapaci, pigri, corrotti e impelagati nei loro “affari”, il nostro allenatore è l’unico che riesce a risvegliare l’orgoglio patriottico, è l’unico a saper creare unità e a fare di una squadra male in arnese, una squadra palpitante di vita, di forza e coraggio.

La nazionale italiana è tecnicamente inferiore alle grandi d’Europa, ma ha cuore, fantasia; mettici poi la rabbia degli ultimi, degli esclusi ed ecco che davvero potevamo fare tanto!

Ma subito giunge la punizione, perché non è ammissibile che un “niente” come l’Italia possa andare oltre, non plus ultra ci fanno capire attraverso la scelta dei campi peggiori o di terne arbitrali incapaci e ostili.

Come quella contro la Germania.

Germania impalcabile, Germania invincibile, Germania perfetta macchina da calcio.

Eppure il calcio che questa nazionale offre è un calcio sterile, freddo e costruito, senza guizzi o fantasie; così come è la nazione Germania, la grande macchina teutonica pronta realizzare il sogno di un Reich millenario di hitleriana memoria, ma questa volta con una nuova arma e un nuovo gioco: l’economia, con cui stritola tutti i suoi alleati-servi, Italia compresa.

Eppure sul campo occorrono un arbitro incapace e i rigori per piegarci. Oh Italia, perché non sei tu mai doma, anche nella vera politica!

Se la Germania è lo specchio di perfetta unità nazionale, il Belgio ne è il perfetto contraltare.

Come squadra il Belgio è un “undici” di campioni davvero notevole, ma a conti fatti sono davvero undici i giocatori a scendere in campo, non come una macchina compatta, ma come singoli, come undici estranei, tutti appresso allo stesso pallone.

Questa frammentarietà paga dazio: è vero sì che il Belgio riesce a passare i gironi, ma poi fatica quando si trova di fronte il blocco granitico del Galles. Pur essendo in undici, quando scendono in campo, sono un sol uomo, una perfetta rappresentazione di unità e di coraggio, un po’ rude, come lo è la nazione Gallese, ma pur sempre nobile.

E a proposito di coraggio, che dire della piccola Islanda, vero David in un mare di Golia?

Anche in questo caso nazione e nazionale si compenetrano perché entrambe non hanno da offrire molto, ma quel poco che hanno, lo danno con estrema volontà e supremo sforzo.

Salvo poi uscire malamente contro la potenza francese.

Ma, d’altronde, che cosa ci si può aspettare quando il sogno si scontra contro la realtà?

È tempo di svegliarsi, gridano i cinque goal della Francia.

E concludiamo proprio con i padroni di casa, la cui ipocrisia è palese, appena si scende in campo.

La Francia è forse la squadra che più di tutte ribalta quando detto in questo articolo, in quanto nazionale e nazione presentano una situazione completamente diversa.

Infatti la nazionale sbandiera quella bella idea di unità sociale, culturale e integrazione razziale che, a livello di nazione-Francia, non si è riusciti a realizzare.

Banlieux in fiamme, orde di scioperanti, divari di classe che scompaiono sul campo di calcio, dove neri, operai e“padroni” si tengo per mano cantando l’inno di una nazione dalle profonde e insanabili fratture.




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